Come ogni anno dal 2013 per la scuola di ONG 2.0 tengo un corso online che si chiama “Diventa social media strategist”. Il nome è lo stesso di cinque anni fa (ok, è sparito il “Diventa”) ma i contenuti, ovviamente, con il tempo sono cambiati.

Mi ricordo che fino al 2014 iniziavo tutte le mie lezioni dal vivo con il video “Social Media Revolution“ per convincere i miei interlocutori, di solito operatori del terzo settore oppure giornalisti, che usare i social media era fondamentale per promuovere le proprie attività, ma anche gestire le crisi e aumentare le possibilità di raggiungere il proprio pubblico. Tu non ci sei, ma gli altri li usano per parlare di te, dicevo, portando ad esempio la Croce Rossa durante l’uragano Katrina, che aveva trasformato le “critiche in donazioni” grazie a un’immediata reazione sui social media ai commenti negativi sul suo operato nei luoghi del disastro. Oggi mi capita invece di consigliare di non aprire una pagina Facebook e di raccontare casi di “fuga” dalla piattaforma come quello del più importante giornale brasiliano o dell’agenzia Copyblogger.

Cosa è cambiato? Forse non è cambiato nulla. L’arrivo dei social network ci ha dato l’illusione che fare marketing online fosse facile, veloce, persino gratis, che i fan fossero sinonimi di clienti o donatori mentre, come scrive Gianluca Diegoli nel suo Confessioni sui social di un marketer disilluso, “solo pochissimi esempi hanno avuto un impatto duraturo sul business” e i casi di successo “spacciati per best practice applicabili universalmente” – ecco la mia Croce Rossa – “in realtà erano belle eccezioni”.

Secondo una ricerca di Social@Ogilvy nel 2013 – anno della prima edizione del mio corso – un post organico su Facebook avrebbe potuto raggiungere facilmente il 12% dei fan. Un anno dopo l’algoritmo aveva già dimezzato la cifra, solo il 6%. Nel 2018 meno di cinque persone su 100 sono raggiunte dal contenuto organico di una pagina.

Eppure si moltiplicano le opportunità per usare i social nella raccolta fondi, come i programmi speciali per non profit di Facebook e Youtube. Non si può semplicemente “sparire” e ignorare la portata di questi strumenti.

Strategia e consapevolezza

E quindi, cosa metto nelle slide? C’è una parte che non cambia mai: quella dedicata all’identificazione degli obiettivi e alla misurazione dei risultati. Ci concentriamo sulla parola strategia e meno sulla parola social media, che sono uno strumento (come lo sono la newsletter, una landing page efficace, un sito internet…) per raggiungere gli obiettivi della tua organizzazione, per adempiere alla sua mission. Via le slide su cosa è meglio pubblicare su Facebook, come funziona Twitter, quanti post al giorno e a che ora: quello che impari in un corso come questo è la capacità di conoscere a fondo la realtà in cui operi, come individuare il tuo target, dove trovarlo e che tipo di contenuti offrire per coinvolgere il tuo interlocutore in un percorso che possa offrire valore a lui e risultati a te. Che tu sia parte di uno staff, oppure lavori come consulente, “diventare social media strategist” nel 2018 vuol dire acquisire consapevolezza e imparare a prendere decisioni basate sui dati e sull’analisi del contesto, selezionare i luoghi digitali da abitare e rinunciare all’ennesimo account sull’ultimo social network solo perché “gli altri ci sono e io no“.


Informazioni sul corso, che comincia il 22 ottobre, le trovi sul sito di ONG 2.0.
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