[Questo post è stato pubblicato originariamente su RiccioCapriccio per la rubrica Shoot the runner]

Quando ho corso la mia prima mezza maratona (21 chilometri) ho creato una playlist dal titolo “Il coraggio di presentarsi alla linea di partenza”.

Nei mesi precedenti alla gara stavo sperimentando un misto di adrenalina e paura che fino al giorno prima, a chi mi chiedeva se stessi correndo così tanto per un motivo specifico, spiegavo che “in teoria” mi ero iscritta a una gara, in pratica chissà, non ero così sicura di andarci. Avevo una paura matta di non riuscire a finirla. Di fermarmi prima, di esplodere dopo 10 chilometri anche se una volta ne avevo già corsi 15 ed era andata bene.
L’anno in cui ho scoperto la corsa ogni piccolo traguardo mi ha fatto scoprire di poter superare tutti i limiti in cui mi ero auto definita: “non hai fiato”, “non sei una sportiva”, “le cose importanti a cui dedicare il tempo per una persona come te sono altre”. Chilometro dopo chilometro invece ho scoperto molto altro: dopo che inizi a calcolare la corsa in minuti (“non mi sono fermata dopo 30!!), passi poi ai chilometri e infine a riconoscere che sulla stessa distanza, se ti alleni con frequenza, puoi migliorare la velocità.

La paura per i miei primi 21 chilometri si è trasformata in gioia pura una volta arrivata al traguardo, una gioia che ho riprovato quest’anno quando ho percorso in allenamento i miei primi 36 chilometri in preparazione alla maratona di Roma. Durante i 36 ho avuto di nuovo paura, paurissima di non farcela. Volevo fermarmi, chiamare un taxi che mi portasse a casa, non capivo perché mi ero messa in testa di voler fare una maratona, 42 km. “È assurdo, continuavo a ripetermi, ti sei cacciata in questo pasticcio da sola, te ne rendi conto?”. Il cervello si è divertito per parecchi chilometri a tentare di scoraggiarmi.
Poi invece li ho finiti e una volta a casa ho pianto di gioia. Il coach mi ha scritto “per me sei una maratoneta già oggi” e lì ho capito che la gara sarebbe stata una festa.

Vi racconto questo perché la paura è inevitabile quando affronti una nuova esperienza. Anzi, è persino sana. Se ho paura valuterò attentamente ogni variabile e sarò pronta ad affrontare tutti gli imprevisti (quelli che posso controllare, è chiaro). Provare paura è questione di sopravvivenza, di mantenere una certa distanza davanti al pericolo. L’unico problema è che può impedirmi di fare qualcosa solo perché mi fermo prima di affrontarla, e di accettarla come parte dell’esperienza.

Elizabeth Gilbert, l’autrice di Mangia Prega Ama, in un libro dedicato alla creatività scrive che la paura è fondamentale per il suo lavoro. Che ogni volta che sta per intraprendere un nuovo progetto la porta con sé, come fosse il passeggero di un viaggio in Bla Bla car:

L’importante è non mandarla alla guida.

Allenarsi per uno sport che mi sfida a superare i miei limiti è allenarsi a trovare il coraggio, sempre. Non ci si può pentire di prendere questa strada.

(In foto: correre a Roma, la mattina presto)