[Questo post è stato pubblicato originariamente su RiccioCapriccio per la rubrica Shoot the runner]

Contenta lei, è il commento di un turista che mi passa accanto mentre sfreccio correndo di fianco al Colosseo una mattina dello scorso novembre, cercando di tornare a casa in tempo per una doccia e una colazione e prima di entrare a lavoro.

In effetti sì, contenta me. Pratico uno sport che mi mette di buon umore.

“Ma vi ho visti voi runner, al parco, non sorridete mai. Non vendeteci che correre è divertente”, commentava qualche mese fa Dietnam su Snapchat.

Be’, dipende. Io sorrido quando incrocio un runner che mi saluta (è buona pratica, fatelo a che voi!), quando un’auto decide di risparmiarmi la vita e mi permette di attraversare sulle strisce, quando sento che sto rispettando il ritmo previsto dall’allenamento o quando vedo il Lungotevere libero e so di potermi godere qualche chilometro in solitudine prima di arrivare a casa e avere a che fare con lo stress della quotidianità. Però è un sorriso che dura pochi secondi.

Se l’allenamento è particolarmente duro, se quel giorno non te la sentivi proprio di uscire ma sei lì, con lo sguardo concentrato sulla linea dell’orizzonte, se è l’ennesima prova che ti imponi per aumentare i chilometri della tua uscita, ma hai ancora il fiato corto e i muscoli dolenti, è vero, non sorridi. Anzi, probabilmente soffri. Provi gli effetti della Fatica.

La percezione della fatica è diversa se hai appena cominciato, se ti prepari alla tua prima gara importante o se trovi nello sport che pratichi la soddisfazione di aver superato i tuoi limiti. Per me, un minuto di plank è una fatica inaccettabile. I plank non mi danno nessuna soddisfazione, non sorrido mai, né durante, né dopo (però fanno bene, e allora soffro, sì, e mi dò da fare).

La fatica che dà il senso alle uscite settimanali incastrate tra mille impegni, quelle che programmiamo nonostante le scuse, è quella di cui parla Federica Pellegrini dopo aver perso la finale 200 stile libero alle Olimpiadi di Rio:

«Non è un dolore di uno che accetta quello che è successo, anzi è un dolore di una che sa cos’ha fatto quest’anno. La determinazione che ci ha messo…il mazzo che si è fatta.. I pianti per i dolori e per la fatica…lo svegliarsi la mattina e dopo 7 ore di sonno sentirsi come se ti avessero appena preso a pugni quanta è ancora la stanchezza»

È quella che si respira dalle parole di Gregorio Paltrinieri, anche lui nuotatore, campione dei 1500m, intervistato su Rivista Undici:

«Pensa che quando gli altri vengono ad allenarsi a Ostia ci domandano “ma come fate a tenere questo regime così alto?”. È il Moro, lui non dà pause, ogni allenamento è volto a cercare di ottenere il massimo. E poi ci sfondiamo in palestra. Ci sono giorni che dopo l’allenamento del mattino impiego cinque minuti ad uscire dalla vasca, non ho neppure la forza di arrivare in camera. Vorrei solo sdraiarmi e dormire. Solo che alle 18 siamo da capo. Si ricomincia».

È fatica, ma è anche pura bellezza. Io la farei studiare a scuola, la fatica.