[pensieri a margine di una tesi di ricerca sul giornalismo online]
Fino ai 17-18 anni facevo collezione di giornali da tutto il mondo. Chiedevo ad amici e conoscenti viaggiatori di acquistare per me una copia del principale quotidiano del paese, quello più letto e più diffuso.
Poi lo conservavo integralmente, come una reliquia, sfogliandolo da cima a fondo, nonostante spesso non potessi capire nulla di quanto trovavo scritto. Mi ero quasi dimenticata di questa passione. Non perché ho smesso di leggere e cercare storie dal mondo, ma perché ora quei giornali non rappresentano più un oggetto “esotico” da collezionare sognando un giorno di vivere e raccontare a mia volta la realtà di quei paesi lontani. Perché ora ce li ho a portata di click.
Non solo i giornali, ma le storie che raccontano. Il mio iPad ne è letteralmente invaso, grazie ad applicazioni come Flipboard e Zite. Nel frattempo, non solo la mia conoscenza dell’inglese e del francese è migliorata e Google Translate mi offre una traduzione simultanea di quelle notizie scritte in lingue che non imparerò mai, ma, soprattutto, l’accesso a quelle pagine di cronaca lontana è diventato più facile e immediato, anche se immateriale.
“Non siamo produttori di carta, ma di notizie” ha detto una volta Bill Keller, ex direttore del NyTimes. Ecco. Io non ho smesso di collezionare storie. Solo, non occupano più grandi armadi a casa dei miei genitori.